Quando le cose erano fatte per durare

Scritto da Doria
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Quando le cose erano fatte per durare, al calzolaio, al fabbro, all’arrotino, al sarto, al falegname, non mancava mai il lavoro, perché le cose si cambiavano solo quando erano irreparabilmente rotte: si produceva di meno, ma si riparava di più.

Oggi invece si fanno le cose con il preciso intento di farle durare poco: o si rompono alla velocità della luce o non possono essere aggiustate oppure la riparazione costa più del riacquisto.

E’ così per qualsiasi cosa si compri: indumenti,  mobili, elettrodomestici, oggetti tecnologici. Un sistema studiato apposta per spingere al consumo e al ricambio delle cose:  si compra di più e si ripara di meno.

Lasciando a qualcun altro il compito di parlare di consumismo e del problema dei rifiuti che questo sistema ingenera, mi soffermo solo a fare una semplicissima riflessione.

Ieri dopo averla fatta riparare (ecco com’era ridotta), ho riportato a casa la macchina da cucire di mia nonna, una Anker Marke della fine del 1800 (per gli appassionati, un vero gioiellino d’epoca).

Da notare due cose: ho scritto: ” riparare”  e “fine del 1800”. Cioè:  una macchina costruita più di cento anni fa, oggi cuce perfettamente e ricorda e parla di chi l’ha usata per anni.
Ne deduco perciò che le cose fatte per durare sono una naturale estensione nel tempo di quello che siamo stati e portano inevitabilmente con sé una storia.
Di quante delle cose che vengono prodotte e vendute oggi, si potrà dire fra cento anni la stessa cosa? Pensateci.

Ora, è vero che le cose di oggi sono maledettamente più comode di quelle di una volta -più belle non lo so- ma è anche vero che avendo vita breve non potranno mai essere memoria di niente.

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Faccio solo due esempi, ma ne potrei fare decine.

Non c’è dubbio che avere una macchina fotografica digitale e scattare centocinquantamiliardi di foto al pupo sia comodissimo. Niente a che vedere con la trafila che si faceva dal fotografo con il vecchio rullino.

Ma se poi quelle centocinquantamiliardi di foto non le stampo… puff! nel giro di un tot spariscono (sì lo so, sono in qualche cartella nel pc, nel telefonino o in qualche chiavetta usb, ma è come se non ci fossero. )

Tanto per dire: le foto qui sopra sono dei nonni di mio suocero, alcune sono datate 1889. Non so quanti dei nostri nipoti o pro-nipoti tra 150 anni potranno avere di noi lo stesso ricordo.

dischi vinile, dischi bee gees, dischi anni 70,

E ancora.

Non c’è dubbio che scaricare musica da I-Tunes per ascoltarla nell’I-pod o ascoltarla su Spotify e ascoltarla seduti da casa sia comodo. Ma quei file prima o poi spariranno dalla storia  di chi le ha ascoltate.

Niente in confronto ai dischi in vinile che ancora occupano uno spazio fisico nei nostri scaffali: li puoi toccare, guardarne la copertina, vederne la data, le foto, leggerne i titoli e i testi delle canzoni. Quei dischi sono i nostri testimoni: parlano di noi, dei gusti che avevamo e dell’epoca in cui siamo cresciuti. Un I-pod non lo farà.

Che dire. Lo so che i tempi cambiano ed è anche giusto che sia così.

Ma se la storia di ognuno di noi è legata indissolubilmente agli oggetti che ci sono appartenuti, più questi avranno vita breve, maggiore sarà la possibilità che il nostro ricordo si perda nel vuoto. Trovo che sia un vero peccato.

Non ho suggerimenti da dare, ma solo una domanda su cui riflettere: è sempre conveniente barattare “la memoria” in cambio della comodità?

La risposta non è affatto scontata. Pensateci.

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